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IL TUO BUON RICORDO

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1001558_643955912281349_249305093_nL’insegnante,quello VERO,quello non ingessato,bloccato,attaccato a morsi ai programmi ministeriali,nessun ex alunno lo dimentica.

Possono passare anni ma ,quando l’argomento scuola fa capolino in discorsi qualunque,il volto dell’alunno in questione si accende di luce propria; nasce un sorriso spontaneo,lo sguardo si perde nel passato ed un sospiro denota nostalgia.

Di questi ex scolari ne potrebbe parlare persino Piero Angela,tanto sono riconoscibili e facenti parte di una categoria ben definita.

Sono i fortunati. Quelli che hanno avuto la possibilità di trovare una guida,un insegnante che con passione ha fatto del suo lavoro un centro importante.

Di programmi ministeriali,libri di scuola,esercizi e regole negli anni se ne sono susseguiti un’infinità, ma di maestri VERI,purtroppo,non altrettanti.

Almeno un membro di ogni famiglia ne può vantare uno e non è un risultato così scoraggiante…forse.

Patrizia, con occhi accesi in un bel verde, riemerge dal ricordo sorridendo,apre un cassetto e cerca tra foto e scartoffie. Tra le mani un tesoro dall’immenso valore,una reliquia custodita fra le più importanti. La mostra tenendo alto il braccio e sotto le nipoti già saltano per afferrare quel curioso cimelio.

Chiede calma,cura e pazienza. Che tre parole importanti! 

Aprendo la busta nasconde un ghigno di soddisfazione,la strana gioia dell’eletta.

Poi legge. E racconta. Scuola primaria “Don Bosco” a  Bolzano. Classe femminile ,anno scolastico 1963/’64 e 1964/ ’65; maestra Ernesta Lorenzoni. Severa ma dedita all’insegnamento. Un punto di riferimento,pronta all’ascolto,ad aprire la sua casa, a fare la strada per andare a scuola insieme.

I ricordi sul “programma ministeriale” svolto sono pochi. Presenti,importanti e vivi quelli  sulle attività didattiche: l’orto,cucito e ricamo,un elenco di attività pratico/manuali degne di un contratto da ingegneri in metalmeccanica. Riciclo,pittura,mini borse studio direttamente attinte dal portafoglio della maestra per permettere a ciascuno un breve approfondimento sulle discipline più gradite. 

E’ vero… non è giusto. E’ lo Stato che si deve occupare dei suoi studenti e non l’insegnante e il suo misero stipendio.

Ma oggi penso anche che, quando insegnare diventa una passione,una di quelle vere,di quelle alle quali non si può rinunciare, il famoso “ prolungamento della famiglia” che indicava la Montessori, beh, allora è anche lecito ed accettabile un percorso alternativo,utile a rendere felici,appassionati,curiosi i bambini che a quell’insegnante sono stati affidati per essere parte della categoria dei fortunati.

E lo Stato? …. lo Stato certe cose non le capirà mai. Anche se il tempo passa sembra sempre non essere mai entrato in una classe.

  

 

 

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“20.12.’84

Carissima Patrizia,

il tuo buon ricordo mi ha commossa davvero. Sono tornata indietro con gli anni e ho rivisto la piccola,cara Patrizia dalle treccione lunghe.

Che bei tempi!

Ti ringrazio molto per i graditi auguri.

Anch’io auguro a te e famiglia e genitori un felice Natale e un felicissimo Anno Nuovo apportatore  di ogni bene desiderato. Aff.ma Ernesta Lorenzoni”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“L’educazione non è separabile in settori o in campi ben delimitati: non c’è educazione alla motricità,educazione scientifica,educazione logica….[….] ma l’educazione è un tutto inscindibile,una varietà di azioni che  intrecciandosi con le varie esperienze,ampliandosi,modificandosi concorrono alla formazione globale dell’individuo. [….]Se io ho veramente preparato un individuo a ragionare sulle cose,ad appassionarsi alla sua formazione,anche se non lo si fosse strumentato per una certa professione avrebbe lo spirito per aggiornarsi e completare la sua qualificazione in qualsiasi momento,anche dopo,direttamente sul posto di lavoro.[…] storie di educazione che hanno lasciato il segno (in-segnato appunto).” da Alberto Manzi avventura di un maestro

 

Conosco l’amore

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11 anni…posso già dire che conosco cosa è la felicità. la tristezza, l’angoscia,so cosa vuol dire quando le persone fanno finta di volerti bene,so cosa vuol dire non essere accettato,so cosa vuol dire amore…. so cosa vuol dire dislessia…un incubo che pian piano si sta trasformando. I miei occhi han visto l’umiliazione e l’impotenza di farmi valere. Parole finte con finto amore…mi avresti dovuto far amare ciò che sono ma mi hai solo distrutto. Ora sono libero,ora sorrido e ora che non ci sei penso al passato con rammarico di non averti detto ciò che sono e ciò che provo.

Conosco te DANZA… solo tu mi sorridi, solo tu mi capisci e sostieni,solo tu mi fai volare quando penso di essere a terra…. si ho 11 anni e sono vero…. si ho 11 anni e so già cosa vorrò fare da grande : insegnare tip-tap e far provare ciò che provo io. 

di Lorenzo

LA MIA TORINO ANNI ’70

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Ed ecco il contributo di Paolo Camalich che con il “dietro le quinte”della scuola ha avuto sempre a che fare. Nel tempo rimasti limpidi i ricordi e la passione. Quella confidenza con maestri e professori che è riuscito ad instaurare anche con, l’ormai in pensione, maestra del figlio Lorenzo.

Per una scuola diversa che sia davvero “Il prolungamento della famiglia”,con genitori attivi,  interessati e partecipi. A scuola non si educa solo il bambino,ma si cresce e si cambia tutti in un percorso condiviso.

La mia Torino anni’70

07x168-16x9scuola_fontana_0581-small1975. Vivevo a Torino con mia madre, solo con lei. Insegnava alla Verga, scuola media, lontano da casa. Così lei usciva molto presto. Mi alzavo da solo, andavo a prendere Daniela; con lei, facevo tre isolati mano nella mano ed arrivavo in Via Buniva, alla “Fontana”. Un maestro maschio, mica lo hanno avuto in tanti. Ed io avevo tanto bisogno di una figura maschile. Trattava tutti come alunni; serio quanto scherzoso, maniacale (dava due voti, di ordine e di profitto: il primo mi rovinava sempre la media) quanto sorridente. Al lunedì mattina il commento sulla partita del Torino era un obbligo, poi si faceva sul serio. Trattava tutti come alunni, anzi: il nipote della direttrice, il troppo vivace Giorgio, era sempre nel mirino. Io no, ero il suo amico Paolo: “Vieni qua, disgrazia, come diavolo te lo sei messo quel grembiule?”. Tirava fuori anche il suo pettine, pressoché inutile per lui, e tentava di fare qualcosa. Così trascorreva, interessante e splendida, la mia mattinata.Poi finiva, purtroppo: sì perché Daniela trovava pronto, trovava mamma e fratello, io dovevo aspettare mia madre. Il rumore inconfondibile della sua “850” con la marmitta scassata lo sentivo almeno un’ora dopo essere arrivato. Ed erano sempre liti furiose, perché sapevo quanto mia madre amasse intrattenersi con colleghe e, soprattutto, piacevoli intellettuali colleghi in sala professori. Non di rado, poi, la “850” non partiva e i piacevoli dovevano sudare per spingere l’auto, tra l’altro con lei alla guida: lei che non era esattamente anoressica. Però quella scuola “Verga” era un covo di vivaci personaggi della Torino esagitata di quegli anni. Insegnanti che si ritrovavano la domenica mattina in corteo, strane serate a casa dell’uno odell’altra. Io c’ero sempre, perché no: non potevo stare solo anche la sera. Allora mi ritrovavo in mezzo alle femministe, che vivevano in quattro nella stessa casa, oppure a casa di Nicola Tranfaglia  pasted-image-1 già ai tempi professore universitario, marito di Nicoletta (e non è una battuta!) e, specialmente, padre di Sara, la mia prima fidanzata seria. Fra quelle quattro femministe c’era quella che sarebbe diventata la mia madrina di battesimo (sacramento che, per decisione di mia madre, avrei dovuto prendere solo in piena consapevolezza: e tutti che le davano ragione, attorno a quei tavolini bassi, con l’hashish che girava tranquillamente, assieme a centinaia e centinaia di sigarette).

Una notte, accadde l’incredibile, e devo fare una premessa: la formazione delle classi, alla Verga, venne concepita in modo particolare per l’anno scolastico 1974/75; furono messi i dieci elementi caratteriali in un’unica classe. Avete letto bene: dieci. E mia madre insegnava, tentava di insegnare, lettere a quel manipolo di folli (figli di tossici o di avanzi di galera, probabilmente tossici loro stessi: facevano, tentavano di fare per l’ennesima volta, la terza media). Quel mattino, alle 4, avevano finito di far le loro cose, e decisero di andare a trovare la Prof. E certo, alle 4, normale no? Natale era passato da poco e mia madre aveva messo insieme i soldi per un’autopista Sizzlers Ontario.  images Giocarono  appassionatamente (anche con me, che ero ovviamente sveglissimo e che li conoscevo tutti) fino alle sei, poi uno disse che era un po’ tardi, ed uscirono dopo essersi fatti  offrire un caffè. Tornammo a letto: “che ora strana per venire a trovare la gente” disse mia madre dopo avere spento la luce.

di  Paolo Camalich

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La scorsa estate ho detto no!

LA SCORSA ESTATE HO DETTO NO!

articolo pubblicato sul sito de “La prima scuola”.

Pubblichiamo il contributo di Valentina Guastini, che assieme alla figlia Ada, ha deciso di “boicottare” i compiti per le vacanze estive per realizzare qualcosa di ugualmente formativo, ma meno statico e noioso. Ne è venuto fuori un libro.

Eccola, un’altra estate a dividere con perizia le pagine del libro delle vacanze, passata ad insistere sull’importanza di svolgere quelle quattro pagine quotidiane per far sì di non avere compiti per il mese di Agosto. Centoventi pagine totali che comportano centoventi pianti isterici di chi, in realtà, della scuola non ne vorrebbe sentir nemmeno parlare .

I compiti! Che dilemma discusso in tutto il mondo!

Quest’anno come mamma mi sono rifiutata. Mi sono imposta di valutare seriamente l’utilità del libro preconfezionato come compito valido al fine di consolidare, ripassare, recuperare. I compiti dell’estate precedente li ricordo come un supplizio senza fine, un insulto alla serenità familiare, un momento che trasforma noi genitori in cattivissimi educatori con la bava alla bocca. Compiti spesso non corretti o addirittura denigrati. Il voto che arrivò intorno a Natale relativo a quell’estate fu: “Brava. Potevi scrivere meglio, manca pagina 94 e 104”.

Un’altra estate così non era possibile. Avevamo tanti progetti: mare, montagna con i nonni, mini-vacanza in Austria, la cameretta da sistemare, promesse da mantenere… Certo, non era nelle nostre idee l’ozio totale (o forse sì), ma come genitori ci si trova di fronte inevitabilmente ad una riflessione: è giusto non fare proprio nessun compito?

Abbiamo fatto una riunione di famiglia valutando tutte le variabili del caso.

Come insegnante di scuola primaria ho dovuto ammettere la necessità mentale di staccare la spina, non negabile, di contro, a mia figlia. Ho dovuto mettere in conto la necessità di farle comprendere l’importanza dell’impegno e valutare la stanchezza e la demotivazione di fondo. In quel periodo stavo leggendo un libro sull’albo illustrato e mio marito fece la battuta rivelatrice: “perché non costruite un libro per bambini?”. È nata così la nostra voglia di inventarci un’alternativa. L’idea che forse è possibile impiegare il tempo in modo costruttivo trovando modi che possano stimolare la creatività dei nostri bambini.

Abbiamo fatto un patto di famiglia e ad ognuno i suoi compiti: io e Ada addette ai racconti, papà ai disegni e la piccola Margherita membro della giuria. Poi, in realtà, alcuni accordi sono cambiati in corsa…

Nel mese di Luglio sono stati scritti alcuni racconti ispirati all’estate e al mare. Ada trovava i titoli ancor prima della storia su cui poi si lavorava insieme anche tre ore consecutive prima di andare in spiaggia. Agosto è stato invece il periodo “montano” dove è nato il racconto sulla fisarmonica e quello che porta il titolo del libro; il periodo in cui Ada e papà si sono dedicati ai disegni scegliendo con cura i colori ed i soggetti. L’Austria invece ha ispirato il racconto sulla scimmia ambientato a Salisburgo, ed è stato emozionante scoprire la sua voglia di inventare, vedere come Ada restava assorta nel pensiero, rapita dalla sua fantasia.

Durante il viaggio di ritorno dalle Dolomiti abbiamo fatto una sosta alla Casa delle Arti e del Gioco del maestro Mario Lodi e, dalla dolcezza con cui Ada immaginava l’incontro con questo “vecchietto”, è nato il racconto a lui dedicato.

Molto tempo è stato votato all’insegnamento di giochi con le carte e nell’analizzare scontrini e resti per non sottovalutare l’area matematica. Questo grande lavoro le ha regalato molta sicurezza per il rientro a scuola. Appena arrivato dalla stampa, Ada ha voluto portare il suo trofeo a visionare e la maestra di italiano ne ha chiesta una copia per la classe. Ecco dei compiti divertenti. Un sacrificio che porta con sé il frutto della soddisfazione,del ricordo e del lavoro condiviso.

“Mamma cosa stai facendo?” chiede Ada mentre raccoglie le sue cose “Scrivo qualcosa sul nostro libro”. La guardo e il suo viso si accende di orgoglio.

Valentina Guastini

 

Il libro a cui si fa riferimento nell’articolo è Sale, Senape e Monete, di Valentina Guastini e Ada Maria Angeli, madre e figlia appunto. Vivono a Casarza Ligure, a 2 km da Sestri Levante (GE), dove l’anno scorso si è svolto il II convegno della rete di cooperazione educativa, che Valentina ci tiene a ribadire in più di un’occasion “le ha cambiato la vita e il modo di pensare come genitore ed insegnante”.Valentina Guastini

 

Sale, senape e monete di Valentina Guastini e Ada Maria Angeli

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http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=1032757

Sale, senape e monete di Valentina Guastini e Ada Maria Angeli

Una mamma che ha deciso di camminare insieme con la propria bambina, non ‘ritagliandosi’ via del tempo dal lavoro ma rovesciando la prospettiva, facendo ‘una sosta’ lungo il sentiero-vita, la bellezza unica delle Dolomiti a fare di contorno e a ‘dare forza’ a questo progetto. Una mamma (Valentina) ed una bimba (Ada) che decidono di scrivere ‘insieme’ dei racconti, si prendono tutta un’estate per farlo ed alla fine ne esce questo libro che sin dalla copertina (di Jacopo Chiarelli) ci trasmette calma e dolcezza. Il tempo passato a ‘crescere insieme’ non è mai ‘sprecato’, è un ricordo prezioso che si porta con sé per tutta la vita.  Come cita l’introduzione ‘Chi l’ha detto che un libro deve raccontare una storia seguendo una monotona linea retta ? A volte non dovrebbero proprio esserci parole.’ e così nel libro ci sono anche ‘spazi bianchi’, pause di silenzio e riflessione, ma soprattutto ‘spazi’ da far ‘propri’ e da riempire di colori, note e immagini da parte dei lettori (magari da mamme e papà insieme ai propri bambini perché ‘non ci sono scuse per non disegnare e scrivere.’). Ed ecco i racconti, ricchi di tutte quelle immagini e profumi che i bambini sanno cogliere con tanta immediatezza nella natura per cui gli adulti hanno troppo spesso solo uno sguardo distratto: la lumaca che stanca della lattuga in scatola si fa forza e decide di partire per raggiungere quella fresca, un viaggio che alla fine si conclude con l’intervento generoso di Ada; il racconto dei ‘tuffi’che quasi come degli ‘spiritelli’ vivono dentro ognuno di noi e occorre stare attenti perché se poi si ‘perdono’ noi perdiamo la voglia di tuffarci ancora; lo splendido racconto che dà il titolo al libro in cui Valentina narra ad Ada di quando lei era bambina ed un anziano vicino di casa, Angelin, le avesse spiegato il sapore delle cose indispensabili, il valore racchiuso anche nelle cose più piccole ed umili e l’importanza delle scelte, ma più di tutto Valentina fa comprendere ad Ada la felicità che i ricordi preziosi ci lasciano dentro; il colibrì che impara a volare, il racconto dedicato al celebre pedagogista Mario Lodi (cui si fa riferimento anche nella Prefazione citando la Rete di Cooperazione Educativa)… e tanti altri (alcuni ‘scritti a più mani’ con scolaresche di II classe elementare) da leggere insieme ai propri bambini perché come sempre le fiabe parlano a tutti e possono fare bene a grandi e piccini ma quello che le rende ancora più preziose è che si possono ‘leggere insieme’ per ‘ricordarsi’ poi di averle lette (e magari ‘illustrate’ su quelle pagine lasciate appositamente bianche) ‘insieme’. Davvero un bel libro, ma soprattutto un bell’esempio, da seguire.  (recensione di Donatella Gortanutti)